Plinio, l’usignolo e
le tibiae
di Walter Maioli
Prezioso e affascinante, il testo dedicato all’usignolo tratto
dal “Naturalis Historia” di Plinio, segnalato da
Andrew Barker nel libro “Euterpe - Ricerche sulla musica greca
e romana”.
Notevole il lavoro di Barker, nel pescare le antiche informazioni, “spicca
la sua abilità nel saper trarre spunto da fonti in genere trascurate
sugli studi sulla musica antica”- Gianfranco
Mosconi - Università di Roma "La Sapienza". Avrei
però qualcosa da aggiungere e da mettere in discussione per quanto
riguarda l’interpretazione dei testi di Plinio e ad alcune considerazioni
a cui giunge nei capitoli “Plinio e l’usignolo”.
Per me, che sono flautista (e anche ancista) e devoto da sempre al canto
degli uccelli, questo testo di Plinio acquista un grande valore e quindi
voglio contribuire con la mia esperienza.
Quando ho letto il testo sono rimasto veramente stupito scoprendo che
Plinio descrive il canto dell’usignolo con dei termini che normalmente
utilizzo per rappresentare (anche con disegni) delle modalità flautistiche,
dei passaggi acrobatici, che impiego suonando due flauti a becco
(a zeppa) contemporaneamente, soprattutto in un brano dedicato
al linguaggio degli uccelli, dove integro schemi del canto degli uccelli
alle possibilità espressive dei due flauti, rivelando
che vi sono moduli sonori comuni a uccelli e flautisti. |
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Dai primi anni 70 Walter Maioli studia,
e sperimenta i doppi flauti.
A sinistra nel 1973, durante l’inaugurazione del primo “Umbria
Jazz”.
A destra nel 2006 durante l’inaugurazione del primo “Archeofestival” svolto
a Perugia |
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Quando Plinio parla delle tibiae, Barker le interpreta
come tibiae ad ancia non prendendo in considerazione
la possibilità che possano essere due flauti a zeppa.
Plinio nel testo prima elenca i virtuosismi
canori dell’usignolo,
ovvero le qualità sonore e le modalità esecutive di intere
frasi o passaggi musicali : garrulus, modulatus, continuo spiritu,
variatur inflexo, distinguitur conciso, copulatur intorto, promittitur
revocato, infuscatur ex inopinato, plenus, gravis, acutus, creber,
extentus, vibrans, summus, medius, imus, suavitas.
Poi quando dice “In breve, in una gola così piccola
l'usignolo possiede tutto quello che l'abilità umana (ars)
ha escogitato per i sofisticati tormenti (tormentis) a cui vengono
sottoposte le tibiae [82]”, fa un paragone con le tibiae e
il modo abile e sofisticato dei musicisti nel tormentarle (cioè indice
di virtuosismo, ovvero la manipolazione frenetica e il soffiare conciso
che sembra tormentare lo strumento, cosa che succede quando un musicista
suonatore di doppi
flauti cerca di imitare un usignolo).
Barker calcola tutte le sue ipotesi come se fossero tibiae ad ancia,
e non tibiae fistulae , o doppi flauti, come il testo
ispira, addirittura elenca i possibili fraseggi che si otterrebbero con
le tibiae : suoni e frasi variate con un'emissione
curvilinea (variatur inflexo), spezzate in vari frammenti
(distinguitur conciso), con respiro attorcigliato (copulatur
intorto).
Ma questi effetti non è possibile ottenerli con le tibiae
ad ancia, se si ascoltano bene i suoni degli strumenti ad
ancia si capisce che non si può paragonare il canto di un usignolo
con il suono paperoso e pernacchioso delle ance (come quelli
delle ance doppie tradizionali: ciaramelle, zurna etc.),
oppure fine e nasale (come gli oboe della cultura classica),
ovvero un suono che non è fischiato. Chiunque direbbe che il flauto,
soprattutto quello a zeppa, produce un suono fischiato, simile
al canto degli uccelli. E’ da notare che con due flauti a zeppa suonati
contemporaneamente si ottiene una netta triplofonia, cioè due
suoni che generano un terzo suono, come avviene con la siringe,
l’organo di canto, degli uccelli canori, che è composta,
appunto, da due tubi. Pochi sanno (non appare menzionato nei testi
dei ricercatori di musica dell’antichità) che i suoni, le
frequenze, degli strumenti ad ancia riproducono le vibrazioni “continue” degli
insetti, e soprattutto quelle delle api.
Ho compiuto una lunga ricerca su questo soggetto (in attesa di pubblicazione),
ecco un significativo estratto :
Bombus: il suono delle api come
bordone (WM)
Apuleio nelle Florida racconta che Iagnis
padre e maestro di Marsia inventò l’aulos o tibia doppia: innanzitutto nel suonare
distanziò le mani l’una dall’altra (manus
discapedinavit); animò due oboe con un unico
soffio (duas tibias uno spiritu animavit); e
servendosi contemporaneamente delle canne di sinistra e destra, produsse
per la mescolanza di un suono acuto e di un bordone grave l’accordo
musicale (acuto tinnitu et gravi bombo, concentum
musicum miscuit).
Apuleio non parla di una simultaneità di due linee melodiche,
ma della contemporaneità fra una melodia all’acuto ed
un bordone (bombus) o pedale più o meno fisso
al grave, così come si pratica con gli strumenti del tipo cornamusa
o musetta. Abbiamo qui una delle forme armoniche più primitive
e contemporaneamente più diffuse: l’appoggio di una melodia
su una nota grave tenuta. (Andrè Schaeffner)
Sulle tibiae dell’antichità romana è stato
scritto e ipotizzato di tutto, e il discorso vale anche per l’aulos greco
e gli strumenti ad ancia Egizi, Mesopotamici, Anatolici, Iberi,
Etruschi, Celti.
Tanti sono gli scritti scientifici e non, su questi strumenti, basta
scorrere le numerose bibliografie e sostanzialmente vi è una gran
confusione,che si può sintetizzare: le tibiae vengono
chiamate, nella cultura generale, su testi scolastici, su riviste di
divulgazione scientifica e sulle maggiori riviste italiane del settore,
sempre flauti. Mentre gli studiosi hanno ampiamente dichiarato
che non si tratta “assolutamente” di flauti ma
di ance. Alcuni studiosi parlano soprattutto di ance semplici simili
a quelle impiegate sulle launeddas della Sardegna, oppure degli argul egiziani,
altri studiosi, sostengono che si trattava esclusivamente di ance
doppie. Le ipotesi si basano soprattutto su l’interpretazione
dei testi, delle raffigurazioni e reperti di strumenti antichi. E alcuni
di loro come Curt Sachs, Andrè Schaeffner, e anche recentemente
Lise Manniche, cercano dei confronti con gli strumenti musicali
etnici.
La problematica è che purtroppo nella maggioranza dei casi i testi
non sono ne tradotti, ne interpretati correttamente. Per giunta alcune
terminologie di base, non sono state adeguatamente studiate e approfondite.
Dopo aver considerato queste ricerche, svolgendone anche altre, integrando
gli esperimenti pratici da me eseguiti da più di trent’anni,
la consulenza di specialisti, costruttori e musicisti, le ricerche etnomusicali
e musicologiche, dal 1996 ho iniziato un’approfondita catalogazione
e classificazione, quindi posso affermare che in epoca imperiale romana
esistevano diverse tipologie di tibiae : pares e impares, tubolari
e coniche, ad ancia doppia e ad ancia semplice (le
più utilizzate, soprattutto per le cerimonie) e anche doppi
flauti a zeppa.
Qui riporto il testo di Plinio e la traduzione di Andrew Barker. |
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[81] Lusciniis diebus ac noctibus continuis
XV garrulus sine intermissu cantus densante se frondium germine, non in
novissimis digna miratu ave. primum tanta vox tam parvo in corpusculo,
tam pertinax spiritus; deinde in una perfecta musica scientia: modulatus
editur sonus et nunc continuo spiritu trahitur in longum, nunc variatur
inflexo, nunc distinguitur conciso, copulatur intorto, promittitur revocato,
infuscatur ex inopinato |
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[81] Il
canto dell'usignolo è loquace (garrulus) e
si protrae per quindici giorni e quindici notti continue, senza interruzione,
quando le gemme germogliano. È un uccello che merita di essere ammirato
in modo particolare. In primo luogo, possiede una voce tanto potente
in un corpo così piccolo, e un fiato molto persistente. In una sola
creatura si trova una perizia musicale (musica scientia) perfetta:
il suono che produce è armonioso (modulatus); ora è protratto
con una emissione di fiato continua (continuo spiritu), ora è variato
con un'emissione curvilinea (variatur inflexo), ora si spezza
in vari frammenti (distinguitur conciso), è unito mediante
un respiro attorcigliato (copulatur intorto), emesso con rinnovato
impulso (promittitur revocato), inaspettatamente oscurato (infuscatur); |
[82], interdum
et secum ipse murmurat, plenus, gravis, acutus, creber, extentus, ubi
visum est, vibrans, summus, medius, imus. breviterque
omnia tam parvulis in faucibus, quae tot exquisitis tibiarum tormentis
ars hominum excogitavit, non ut sit dubium hanc suavitatem praemonstratam
efficaci auspicio, cum in ore Stesichori cecinit infantis. ac ne quis dubitet
artis esse, plures singulis sunt cantus, nec iidem omnibus, sed
sui cuique. |
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[82] talvolta l'uccello
mormora fra sé; il canto è pieno (plenus), pesante (gravis), penetrante (acutus), continuo (creber), esteso (extentus), vibrante (vibrans), quando
pare opportuno; più alto, medio, più basso (summus, medius,
imus). In breve, in una gola così piccola
l'usignolo
possiede tutto quello che l'abilità umana (ars) ha
escogitato per i sofisticati tormenti (tormentis) a cui vengono
sottoposte le tibiae, cosicché non
c'è alcun dubbio
che proprio questa soavità (suavitas) fu presagita mediante
un auspicio efficace quando un usignolo cantò sulle labbra di Stesicoro
bambino. E, nel caso si dubitasse che è proprio una questione di
maestria (ars), ogni usignolo ha un canto diverso: non è lo
stesso per tutti, ma ciascuno ha il suo. |
[83] certant inter se, palamque animosa contentio
est. victa morte finit saepe vitam spiritu prius deficiente quam cantu.
meditantur aliae iuveniores versusque quos imitentur accipiunt. audit discipula
intentione magna et reddit, vicibusque reticent: intellegitur emendatae
correptio et in docente quaedam reprehensio. |
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[83] Gareggiano tra loro
con un'accesa rivalità (contentio). L'uccello
sconfitto spesso pone termine alla sua vita e muore, poiché il suo
respiro viene meno prima che il canto sia finito. Altri uccelli più giovani
si esercitano e imparano melodie da imitare; l'allievo ascolta con grande
attenzione e ripete; maestro e allievo a turno tacciono; possiamo
percepire nuovi sforzi da parte dell'allievo che è stato ripreso
e una sorta di biasimo da parte del maestro. |
[84] ergo servorum illis pretia sunt, et quidem ampliora
quam quibus olim armigeri parabantur. scio HS VI candidam alioqui, quod
est prope invisitatum, venisse, quae Agrippinae Claudi principis coniugi
dono daretur. visum iam saepe iussas canere coepisse et cum symphonia alternasse, sicut
homines repertos qui sonum earum addita in transversas harundines aqua
foramen inspirantes linguaeve parva aliqua opposita mora indiscreta redderent
similitudine. |
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[84] Perciò gli
usignoli hanno gli stessi prezzi degli schiavi, e alcuni costano più di
quanto una volta si pagassero gli armigeri. So che uno di loro, che
oltre tutto era bianco fatto molto raro fu venduto a seimila sesterzi
per essere offerto in dono ad Agrippina, moglie dell'imperatore Claudio.
Oggi si vede spesso che cominciano a cantare a comando, alternandosi
con un'orchestra (symphonia), così come ci
sono stati uomini che hanno imitato il canto degli usignoli in modo
che fosse impossibile distinguere la differenza, soffiando nell'imboccatura
di canne inclinate in cui era stata versata dell'acqua, o mediante
una linguetta che ostruiva parzialmente il passaggio dell'aria. |
[85] sed hae tantae tamque artifices argutiae a XV diebus
paulatim desinunt, nec ut fatigatas possis dicere aut satiatas. mox aestu
aucto in totum alia vox fit, nec modulata aut varia; mutatur et color.
postremo hieme ipsa non cernitur. linguis earum tenuitas illa prima non
est quae ceteris avibus. pariunt vere primo, cum plurimum, sena ova. |
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[85] Ma queste capacità canore,
così grandi e così artistiche,
gradualmente vengono meno dopo quindici giorni; non si può dire
se questo avvenga perché gli usignoli sono stanchi o soddisfatti
fino alla nausea. Successivamente, come aumenta il caldo, la loro
voce si trasforma e non è più armoniosa né variata,
e anche il loro colore cambia. Infine durante l'inverno l'usignolo non
si vede. La lingua non termina a punta come quella degli altri uccelli.
Depone le uova all’inizio della primavera, al massimo nel numero
di sei. |
Plinio nella Naturalis Historia
Plin. nat. 10,29,43,81-85Primo secolo d.C. |
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"Barker Andrew, Euterpe. Ricerche sulla musica greca e romana,
a cura di Franca Perusino e Eleonora Rocconi, ETS, Pisa 2002" |
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Il commento che Barker fa di
questo testo, si riferisce a una modalità esecutiva: “in questo caso il passaggio
dalla composizione all’esecuzione comporta qualcosa che è molto
più simile ad una serie di variazioni improvvisate su un tema
che alla riproduzione fedele di una determinata partitura”, così come
avviene oggi nel jazz.
Trovo curiosa la comparazione con la musica moderna.
Molto interessante, per lo studio
degli antichi strumenti musicali, è questo
punto del testo di Plinio: “sicut homines
repertos qui sonum earum addita in transversas harundines aqua foramen
inspirantes linguaeve parva aliqua opposita mora indiscreta redderent
similitudine” [84]
Tradotto da Barker:
“ci sono stati uomini che hanno imitato
il canto degli usignoli in modo che fosse impossibile distinguere
la differenza, soffiando nell'imboccatura di canne inclinate in
cui era stata versata dell'acqua, o mediante una linguetta che ostruiva
parzialmente il passaggio dell'aria”.
Innanzitutto in questa frase, ancora una volta
viene rivelata l’abilità di
suonatori in grado di imitare
l’usignolo, invece Barker interpreta un degradare dei musicisti
in questo e altri passaggi del testo di Plinio: La seconda parte
del contributo di Barker - nella ricchezza di approcci disciplinari che,
come si è già visto, caratterizza il volume - indaga come
la terminologia desunta dalla retorica che Plinio usa per descrivere
le caratteristiche musicali del canto dell'usignolo, sveli anche l'atteggiamento
negativo di Plinio stesso (e dei suoi lettori) nei confronti delle sottigliezze
esecutive dei tibicines (Gianfranco Mosconi)
Poi sostiene che per Plinio (ed in generale per la cultura romana,
in cui la musica raffinata fu un fenomeno d’importazione greca), «la
musica dei professionisti è brillante e aggraziata, ma è una
esibizione superficiale, da non prendersi seriamente». (Gianfranco
Mosconi)
Qui emerge decisamente l’approccio di Barker (e della quasi
totalità degli studiosi di musica dell’antichità)
alla musica romana dal punto di vista solo “greco”, approccio
che sinora ha caratterizzato tutti gli studi classici, e di conseguenza nella
cultura generale del villaggio globale tutto ciò che vi è di
romano, musica compreso, deriva dai Greci.
Invece posso sostenere che la cultura musicale di epoca imperiale romana,
aveva raggiunto una ricchezza e una raffinatezza unica e non paragonabile.
“Non si riscontra altrove tante variazioni di trombe, originariamente
etrusche, così le tibiae, si ritrovano quelle fenice, egiziane, le varianti
etrusche e greche. Mentre il flauto di Pan, strumento preistorico italico, i
romani lo costruirono in decine di varianti in tutti i materiali. Per non parlare
del notevole numero di strumenti a corda, arpe , liuti, lyre e soprattutto
cithare di tutte le dimensioni, con differenti volumi e timbri sonori. Attraverso
la gran quantità di reperti iconografici, si trovano anche strumenti
a corda strani e inconsueti, tuttora non ancora ben catalogati e studiati.”
( Walter Maioli – Per una riscoperta e rivalutazione del patrimonio
musicale dell’antica Roma - 1995)
Ma questa non è la sede per rivelare e dibattere queste tematiche,
perché richiederebbe una comprensione ancor più vasta (con
punti di vista non solo Greci, ma Egizi, Mesopotamici, Etruschi, Celti,
Orientali) che conduce al patrimonio musicale preistorico e le vie di
diffusione degli strumenti musicali. Una tematica di base del mio lavoro.
Ritornando allo scritto di Plinio [84] vi sarebbe molto, molto da dire
nel cercare di interpretare gli inconsueti e straordinari strumenti di
cui sta parlando, cosa che invece Barker non prende in considerazione,
anzi dice: vi è qualcosa di vagamente beffardo nella descrizione
che egli fa di coloro che tentano di imitare il canto dell’uccello
con curiosi congegni meccanici (pag.98).
Barker sembra provare una particolare avversione per i musicisti (per
me del tutto sua personale e non di Plinio) dicendo:
“Non è del tutto
chiaro, in effetti, il motivo per il quale Plinio nomini costoro, visto
che essi non aggiungono nulla alla descrizione dell’usignolo”.
(Andrew Barker, Euterpe)
“Non aggiungono nulla?”. Plinio sta parlando di straordinari
strumenti in grado di imitare il canto dell’ usignolo “in
modo che fosse impossibile distinguere la differenza” (parole
testuali della traduzione di Barker).
Infine dice “potremmo ipotizzare che egli utilizzi i
loro assurdi tentativi di imitazione per sottointendere che gli sforzi
imitativi del suonatore virtuoso, per quanto ingegnosi, sono inevitabilmente
anche un po’ ridicoli.” (pag.98)
Per sostenere ciò prende in considerazione termini come garullus,
ritenendo che Plinio si riferisca ai suonatori di tibiae, mentre
Plinio si riferisce solo al modo di cantare dell’usignolo, quando è in
preda ad un’eccitazione buffa.
Prendiamo in considerazione gli strumenti di cui Plinio parla, un esempio:
il termine che impiega Plinio transversas harundines,
Barker lo traduce canne inclinate.
Innanzitutto, interessante sapere che si tratta di Harundines,
cioè “canne”, quindi strumento policalamo. Mentre
il termine transversas non è appropriato
tradurlo come inclinate.
Decisamente meglio impiegare il termine canne traverse perché inclinate ricorda
il temine obliquo
come impiega Apuleio nel descrivere i flautisti che accompagnavano le
processioni dedicate alla dea egizia Iside:
"Ibant et dicati
magno Sarapi tibicines, qui per obliquum calamum ad aurem porrectum dexteram
familiarem templi deique modulum frequentabant".
- Apuleio – Metamorphoseon,
Liber XI – 9
Qui Apuleio sta parlando di suonatori tibicines che
impiegano l’ obliquum calamum che tradotto
letteralmente significa calamo (tubo) obliquo, probabilmente
un flauto obliquo ad imboccatura aperta, che gli Egiziani chiamavano maat e
tuttora nay, scritto anche nai. Quindi come vedete
il termine tibicines si applica anche ai suonatori di flauto.
L
’accanimento nel voler chiamare tutte le tibiae solo ad ancia e
non anche flauto ha portato Giampiero Tintori, rinomato musicologo,
direttore del Museo della Scala, a correggere la traduzione che M.
Pagliano del 1963 ha eseguito di Apuleio:
Venivano poi i suonatori di tibia sacri al dio Serapide che
con la tibia
traversa, tesa verso l’orecchio destro, facevano risuonare
il motivo con cui si onora quel dio nel suo tempio.
Apuleio - Metamorphoseon, Liber XI – 9 L’asino d’oro.
Traduzione M. Pagliano, Bologna 1963.
Nella traduzione abbiamo sostituito il vocabolo “flauto”, generico
ed errato, con tibia, che è strumento diverso. Giampiero
Tintori - La musica di Roma antica –Akademos, 1996.
Il flauto di cui parla Apuleio non è (come vorrebbe Tintori)
una tibiae traversa, transversa, come
ha usato Plinio, ma obliquum, obliquo, ovvero
come dicevo sopra un flauto obliquo impiegato dai sacerdoti
di Serapide, che erano egizi e impiegavano anche strumenti dell’antico
Egitto. |
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MAT – nome egiziano
OBLIQUUM CALAMUM – nome latino
FLAUTO OBLIQUO FLUTE A JEU OBLIQUE THE OBLIQUE FLUTE
NAY – nome arabo
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Foto a lato :
Walter Maioli,
in Egitto nel 1976.
Sino agli anni 80
ha viaggiato verso oriente sulla rotta dei nay dell’antichità,
in Turchia, Persia, Afghanistan, Pakistan, Kashmir e Nord India. |
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Strumento ampiamente raffigurato e menzionato (ho iniziato
a svolgere sistematiche ricerche e studi sui flauti obliqui dal
1976, ad oggi, al Cairo, Turchia, Persia, Afghanistan, Pakistan, Kashmir
e Nord India), nonostante cio’ John G. Landels, nel capitolo
dedicato al plagiaulos, nel suo libro sulla musica nell’antica
Grecia e Roma, descrive in modo inappropriato il flauto obliquo :
There are a number of illustrations in Egyptian art from an earlier
period of an end-blown flute, which is no more than a single
pipe of a syrinx with finger holes bored along its side.
John G. Landels, Pag. 71 - Music in ancient Greece & Rome – London
1999.
Decisamente non sa neanche di cosa sta parlando, e il tutto risulta forviante,
in quanto non è “soltanto” come lui sostiene, una semplice
canna del flauto di Pan con i buchi per la diteggiatura (una denigrazione,
per uno degli strumenti più misterici e difficili da suonare dell’antichità – nota
di WM). L’errore sta che i tubi del flauto di Pan sono
chiusi ad un’estremità, mentre l’end-blown flute,
sopratutto chiamato flauto obliquo ad imboccatura aperta, consiste
in un tubo completamente aperto. Come potete leggere dalla appropriata
comparazione con il nai di Lise Manniche:
“End-blown flute; it changed little in appearance during the
corse of Egyptian history and a similar instrument, know as the nai.
Lise Manniche - Music and Musicians in Ancient Egypt,” 1991.
Non posso qui addentrarmi troppo nel cercare
di fare un po’ d’ordine tra
le terminologie impiegate dagli studiosi, nelle traduzioni e le loro
interpretazioni.
Porto un esempio delle ricerche e del lavoro di Archeologia sperimentale
da me svolto.
Quando molti anni fa ho analizzato “Le Bucoliche” di Virgilio
per cercare tracce degli strumenti musicali. Mi sono trovato di fronte
a termini latini come: fistula, avena, calamo, stipula, cicuta, tradotte
con nomi di strumenti musicali non proprio corretti come :
Tu calamos inflare levis (V – 2)
Tradotto : Tu suonatore della dolce zampogna – Sebastiano
Saglimbeni 1994 Newton Compton ed.
Calamos letteralmente non è una zampogna e tanto
meno la zampogna ha un suono dolce.
Non mi dilungo su tutte le varie traduzioni dei termini come avena
e stipula, riportate, anche su prestigiose pubblicazioni. Voglio
citarvi l’interpretazione che la maggioranza degli studiosi ha
dato del termine cicuta, quando Virgilio parla di cicutis
fistula, ovvero di un flauto di cicuta, “Est
mihi disparibus septen compacta cicutis fistula” (“Bucoliche” II – 32-38), riportandovi
uno scritto di Vinicio Gai (autore di uno dei più diffusi libri dedicati
al flauto) che ne fa una sintesi :
Come i nomi greci, anche quelli latini, eccetto i racconti mitologici,
si riferivano principalmente alla materia da cui questi strumenti erano inizialmente
ricavati : fistula, significava “canna” e quindi “ condotto”, “canale” (52)
; arundine, calamo, avena, cicuta,
sambuco o sambuca; sembra si riferissero
alle piante che fornivano i “pezzi” per la costruzione dei tubi
sonori. Ci sembra opportuno fare qui una breve precisazione. Alcuni studiosi
hanno dubitato (con ragione) che da certi tipi di piante si potessero ricavare
strumenti a fiato, come ad esempio la Cicuta virosa L.; ora,
in Flora Europaea troviamo scritto che questa “Pianta è robusta,
perenne, alta fino a 120 cm., il caule è ovoidale e a tratti cilindrico,
settato... Cresce in zone fangose e paludose in Europa, lat. 45° Nord”.
Può darsi che i poeti abbiano confuso la Cicuta virosa L.
con il Sambucus nigra L. o Sambucus racemosa L...!!
Com'è noto, sia il Conium maculatum L. che la Cicuta
virosa L. sono piante velenosissime quindi è probabile che
i costruttori di strumenti a fiato evitassero queste specie di piante a causa
della loro terribile pericolosità, e per cicuta s'intendesse un tipo
di strumento ricavato da un certo tipo di sambuco. Comunque, esistono in tal
senso varie ipotesi. certo è che nessuno osa mettere in bocca steli
di piante velenose. (pa.16) - Vinicio Gai – Il Flauto – Berben,
Ancona 1975.
(52) Si veda A. ERNOUT et A. MEILLET, Dictionnaire étymologique
de la langue latine, Paris. Klinckesieck. 1959-68.
p. 238. voce fistula
Quindi gli studiosi hanno dubitato (con ragione secondo Gai) che
da certi tipi di piante si potessero ricavare strumenti a fiato, come
ad esempio la Cicuta virosa L. perché considerata velenosissima.
E che i poeti abbiano confuso la Cicuta virosa L. con il Sambucus
nigra L.”.
Conclusione: “per cicuta, secondo gli studiosi si intende
un tipo di strumento ricavato da un certo tipo di sambuco. Comunque,
esistono in tal senso varie ipotesi, certo è che nessuno osa mettere
in bocca steli di piante velenose” . Ma Vinicio Gai è giunto
a delle conclusioni senza considerare il contributo dell’Archeologia
sperimentale.
Infatti dopo aver letto le “Bucoliche” ho iniziato una ricerca
sui materiali menzionati da Virgilio per costruire flauti ed ance.
Ho scoperto che quando i fusti e i rami della cicuta si seccano,
il lattice velenoso contenuto insieme alla linfa si prosciuga, quindi
diviene innocuo maneggiarli e accostarli alle labbra. I cannelli ottenuti
dal fusto e dai rami di cicuta sono particolarmente leggeri
e delicati, come in tutte le Ombrellifere, ma sufficientemente
resistenti per durare anche nel tempo. (Quindi non è solo uno “strumento
musicale effimero”, come generalmente si classificano gli strumenti
ottenuti con vegetali freschi o delicati, che durano pochi giorni).
Anzi, proprio questa leggerezza dona alle canne una sonorità potente,
piena ma soave, direi che per costruire dei flauti di Pan come
dice Virgilio : disparibus septen compacta cicutis fistula, la
cicuta rende meglio anche della canna ottenuta dalla classica Arundo
donax. Questo è un risultato dell’Archeologia sperimentale
che ha confermato con successo ciò che Virgilio scrive. |
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